Il successo di oggi nasce da un’eredità che pochi ricordano davvero. La TV degli anni ’90 sapeva sorprendere, raccontare, perfino educare senza dirlo
Certo, Gialappa’s Show è divertente. Anzi, di più: funziona, ha ritmo, pubblico, nostalgia quanto basta. Ma diciamolo chiaramente: niente, oggi, è paragonabile al terremoto culturale che furono i “Mai dire” degli anni ’90. Non solo sketch e risate, ma uno specchio lucidissimo del Paese, riflesso con ironia chirurgica e un’irriverenza che oggi sarebbe quasi impensabile.
Per questo, se la loro nuova versione vi sta intrattenendo, andrebbe fatto un passo in più. Un viaggio a ritroso, per recuperare – e studiare – quelle trasmissioni che hanno definito un modo di fare televisione. Non per nostalgia, ma per capire come si può raccontare un’epoca senza filtri e senza algoritmi.
Ecco allora 5 programmi che ogni nuova generazione dovrebbe conoscere. Non per imitarli, ma per capire quanto lontano ci siamo spinti – o quanto ci siamo allontanati.
Era molto più di una parodia calcistica. Mai dire Gol metteva a nudo il baraccone della Serie A con una comicità che non guardava in faccia nessuno. I personaggi? Iconici. I tormentoni? Infiniti. Il punto forte? L’intelligenza di chi scriveva e commentava tutto in tempo reale, anticipando l’era dei social con una semplicità disarmante.
Altro che reaction su YouTube: qui si smontava il mito del calciatore con una battuta secca, senza effetti e senza filtri.
Oggi sarebbe impossibile. Ma proprio per questo va studiato. Non è la Rai era un esperimento sociale in diretta pomeridiana: decine di ragazze, playback, telefonate improbabili, adolescenti idolatrate come popstar.
E sotto, una domanda che oggi suonerebbe gigantesca: chi costruisce davvero i sogni degli altri? Un programma che ha creato e distrutto miti nello stesso pomeriggio. E che merita di essere guardato con occhi nuovi, anche solo per capire quanto siamo cambiati.
La domenica pomeriggio, ma senza far vedere le partite. Sembra una follia oggi, e invece funzionava alla perfezione. Fazio e Bartoletti, le inviate comiche, le gag, i collegamenti surreali.
Il calcio diventava lo sfondo per raccontare il Paese: i bar, le famiglie, gli anziani, gli opinionisti da divano. Un piccolo capolavoro di leggerezza e intelligenza popolare, che riusciva a fare cultura mentre parlava di marcature a zona.
Non si spiegava: si guardava. Blob era il programma che rimontava la televisione italiana per mostrarne l’assurdo, la ripetitività, i cortocircuiti logici.Nessun commento, nessuna voce narrante: solo le parole degli altri, cucite tra loro con ironia chirurgica.
Guardarlo oggi è un esercizio di pensiero critico. Un allenamento alla lettura tra le righe, che farebbe bene a chiunque viva nel mondo dell’informazione rapida e delle mezze verità.
Era l’orgoglio del sabato sera. Famiglie davanti alla TV, prove spettacolari, emozioni da palcoscenico. Fabrizio Frizzi, la grazia dei conduttori di un tempo, gli ospiti internazionali e quella sensazione che qualcosa potesse davvero sorprenderti.
Una TV fatta bene, con rispetto e ambizione. Perché la leggerezza non è mai stata sinonimo di superficialità, e questo programma ne era la dimostrazione perfetta.
Riscoprire queste trasmissioni non è solo un esercizio da nostalgici: è uno sguardo su come si poteva fare televisione con creatività, coraggio e intelligenza. E forse, tra un remake e l’altro, anche chi oggi sta tornando in onda dovrebbe ogni tanto rivedersi. Non per copiare, ma per ricordare da dove si era partiti.